nel giardino dei sentieri che si biforcano

gli arcani dei tarocchi sono sono chiavi di lettura, molteplici percorsi che puoi seguire per attraversare un intreccio di diverse opere poetiche


Prologo

Sull’universo e ciò che lo sorregge
gli antichi componevano poemi:
si discorreva intorno alla natura.
Avrei tentato anch’io sì alti temi,
ma oggi l’argomento non si legge.
Son’altri tempi: la scienza
descrive il mondo, non ciò che lo precede,
non l’ordine sotteso nel profondo.
La legge delle cose, questo è quanto:
tutto risolve in onda, svanisce
la certezza degli eventi
e il solido dissolve per incanto.

Pochi versi saranno sufficienti.
E poi — ci mancasse il cosmo! —
già la vita è un romanzo che non si legge:
già la mia vita è terra senza legge.

Fase 1: COSMOAGONIA

Nam tibi de summa caeli ratione deumque
disserere incipiam et rerum primordia pandam,
unde omnis natura creet res auctet alatque...
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Fase 2: V.I.T.R.I.O.L. | Solve

Le speranze perdute, le preghiere
vane, l'audacie folli, i sogni infranti,
le inutili parole de gli amanti
illusi, le impossibili chimere,

e tutte le defunte primavere,
gl'ideali mortali, i grandi pianti
de gli ignoti, le anime sognanti
che hanno sete, ma non sanno bere ...
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Fase 3: V.I.T.R.I.O.L. | Coagula

Il crepuscolo è un fulgido Vesuvio
che trabocca del sangue incandescente
di milioni di morti tulipani.
...
Ma quel giorno già vanìa
e la causa della nostra morte
non era stata rinvenuta.
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Fase 4: NOZZE ALCHEMICHE

Madonna, la pietate
che v'addimandan tutti i miei sospiri,
è sol che vi degnate ch'io vi miri.
...
Onde s'attrista l'anima, che vede
la donna sua che non par che le caglia
se non di morte e 'n altro non ha fede.
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LOPPE D'ATHANOR


Oh! questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno d'essere un poeta!
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Sipario

All’inizio potevo anch’io, spensierato, far correre un soffio d’aria fra le dita della mano aperta e attraverso guardarvi il mondo: solo ora, provando a serrare il pugno, mi accorgo che una certa pressione insorge ad impedire il contatto fra palmo e dita.

È come afferrare un’invisibile eppur solida maniglia d’un materiale etereo di cui perfino i filosofi — non dico gli scienziati — nulla sanno.

Basta un attimo: un violento strattone e la realtà vola via come un sipario.

La quarta dimensione

Un giorno per puro caso, rivolgendo lo sguardo in una direzione insolita, riesco a scorgere la quarta dimensione, così, semplicemente, come il piatto abitante di Flatlandia potrebbe scorgere la terza se soltanto volgesse il naso in su… Gli occhi catturati da quelle magiche profondità che si aprono nell'altrove, eppure così vicine da pensare di potermici immergere, resto immobile per ore attento a non uscire da quella singolare prospettiva. Poi, colto ormai da stanchezza e dallo stordimento che insorge di fronte a cose che superano di gran lunga la comprensione umana, devo infine cedere, sopraffatto, e chiudere gli occhi, e sedermi in poltrona. Mi addormento di schianto, felice, e sogno l'altrove.
Al risveglio voglio comunicare la mia conquista. Corro come un forsennato per le strade, eccitato più d’un pazzo; ma di fronte alla gente che fermo, per quanto io ritorca il collo e rotei gli occhi dentro le orbite — fino a produrre probabilmente orribili smorfie — non riesco più a riafferrare quella fantastica direzione. Arrossisco allora di vergogna, balbetto, finché la gente poi non si allontana, alcuni spaventati altri divertiti. Inoltre, perfino i miei ricordi ora non sono più nitidi dei sogni, si confondono con essi e, come di colpo appiattiti, non riesco più a ritrovarvi quella misteriosa profondità che mi aveva catturato.
Ritorno a casa, terribilmente abbattuto. « Eppure », ripeto a me stesso, ma ormai io stesso incredulo, « è bastato guardare… sì… guardare in su… ».

Camera con vista

Vita, comoda cella:
meglio sarebbe senza la finestra
che inquadra il mondo vero.


L'inganno mi godrei beatamente.

Video

In piedi accanto alla finestra, il naso schiacciato contro il vetro che si appannava al respiro, ho osservato a lungo un uomo alto, magro, dall'andatura calma e sicura, l'impermeabile grigio e il cappello ad ampie tese, mentre si allontanava («Verso il punto di fuga», pensai) a larghi passi sotto la pioggia fine lungo una strada deserta che molto lontano andava a sfociare in una via trafficata, uomini e donne e cani al guinzaglio, bambini, accattoni, frastuono di macchine e di autocarri.

Dire che ho visto, come in un film, la parola FINE emergere in assolvenza dalle profondità di un cielo grigio e minaccioso, ma, forse, solo dipinto? Eppure, potessi spegnere il teleschermo, potessi staccare il volto dal vetro, è umido e il naso ormai duole, potessi almeno socchiudere le palpebre di tanto in tanto, ora che l'uomo è scomparso, ora che il traffico è fermo ai lati delle strade, ora che la gente se ne torna a casa perché la pioggia è cresciuta, e poi è tardi, è già scesa la sera, non c'è più nulla da fare e tutti sono stanchi.

Ora che tutto è finito e non c'è più nulla da vedere, e si avverte soltanto il crepitare delle gocce contro il vetro come pixels impazziti di un teleschermo ancora acceso a notte fonda, dopo la fine delle trasmissioni.

Cinemondo

Si cela, sappi, il vero dietro un velo:
schermo che reca immagini virtuali.

Se tieni gli occhi aperti il mondo velo
vedi: resta così, s’altro non chiedi;
ma se li chiudi un altro mondo
esiste assai più vero.


(S'ogni pensata gnosi imago o segno è nel pensiero
se il filo d’un cogito ordisce la trama del tempo
se un cosmo rinasce e svanisce al respiro di Brahma...)

La voce del Signore

Ecco, la voce del Signore.

C'è un terremoto portentoso da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma la voce del Signore non è rombo di terremoto.

Dopo il terremoto viene l'acqua impetuosa che tutto travolge davanti al Signore, ma la voce del Signore non è acqua fragorosa.

Dopo l'acqua s'alza un vento gagliardo che tutto spazza via davanti al Signore, ma la voce del Signore non è vento che urla.

Dopo il vento sprizzano furiose lingue di fuoco che tutto divorano davanti al Signore, ma il Signore non è nemmeno il crepitare del fuoco.

Poi c'è il silenzio che precede ogni cosa e segue ogni cosa e si richiude come un sepolcro all'estinguersi dell'ultimo sussulto.

Poi non c'è più nulla.

Chi può dire di aver udito il Signore?

Forse, nulla è la voce del Signore.

Solo onde per cui...

So d’un pelago infinito: l’acqua
v’è immota in principio specchio
più calmo del cielo.

E un soffio divino l’increspa: s’erge
flutto sul concavo mare sorge
Tutto dall’Uno.

Oceano di Nulla che vibra è la vita.

...onde si torna

Come cresta dell’onda è il presente
che corre sul mare:
innanzi ascendente ribolle il futuro
dietro sprofonda il passato.

Una sorte accomuna nell’onda
e nell’uomo la morte:
sugli scogli si sfonda e s’impenna,
sull’arena sciaborda e si spande,
ma non sfugge al ritorno nell’alveo
possente del mare.

Incontenibile, incontentabile

Non credo fosse amore o cortesia
e neanche del Creatore odio brutale
strapparci al Nulla ignoto e darci forma:
distrazione semmai forza vitale
inarrestabile espansione del divino.

Non credo sia per gioia o per dolore
che l’uomo talora pianga o strepiti o rida
o faccia confusione: è solo
un bimbo ingordo scortese e un po’ bizzarro.

E odia la linea piatta dei giorni in successione.

Attesa

Ho ascoltato la musica, tutta;
ho letto e riletto ogni verso;
ho sondato gli abissi del pensiero.

Poi, ho sospeso la Terra al Cielo
con funi incerte e ho filato
ponti di ragna fra un Nulla e l’altro.

— Qualcuno si fermerà nella rete, qualcosa.

Consistere sensibilmente (esse est percipi)

Da questa artificiosa immensità
pseudo-cosmo fisico
meta-stagno di vita e morte (ed è
scie d'insetti
braccati, pesci piccoli e
grandi, sanguisughe)
clangor di questa vita furioso
stupito attonito osservo (io
finestra sul mondo di chi guarda)
conato di bestie immonde
metafisico, slanci e
raggiri — Divina Sussistenza — bava di
vicende untuosa
— E sbava la tela il ragno, di ramo in
ramo, dove stagno di
morte la rugiada s'imperla piccole
vittime, pseudo-stagno di
vita e morte, metafisico.

Per spazi, per gradini, come spazii
cadenti, io
(finestra sul mondo
di chi guarda)
esili pulsanti sensi
e torpidi sogni erranti e luce
e sussulti e silenzi (io
sostegno di membra, terra-carne, cranio
— campo di capelli sparsi al vento —
e carne-minerali, polvere
— sala di molli pulsanti emisferi):
dove un balcone m'è scranno dorato
io, finestra sul mondo per chi guarda
siedo, io, regalmente,
per fede nell'artificio unità-psichica 'Io'
(ed è da quassù strisce di luce
ed ombra nel cortile
profilo irregolare delle case
e punti oscuri vaganti casuali
proiezioni di
esseri superiori in volo
ignote presenze), io,
cercando mentalmente lo spiraglio
nel flusso della vita.
— E sbava la tela il ragno, di ramo in
ramo, pseudo-stagno di
vita e morte, metafisico.


(L'ombra che il cortile tutto ora chiude
garbata mi dice che la morte è
più vicina).

Sono quella
balorda intensità, anima,
clamore ribollente detto 'Io'.

Vedere oltre

Spiacente, non sai vedere oltre
l’inganno di forme vane, diafane
trame ordite di sogno.

Fanfara

In uno spazio immobile dove ampi riferimenti ad entità metafisiche immacolate — benché si credesse in un’umanità redenta — trovavano posto fra raffiche di sabbia del deserto e bruchi che strisciavano all’ombra del trombettiere dei castelli infernali: non così facile, oserei dire, la vista del promontorio assolato.
 Odiosa fanfara, non so chi temere più di me stesso! Danziamo pure, sì, danziamo fanfara odiosa, fra le sale dei castelli infernali, nell’attesa di un suono nuovo che venga a purificare le piaghe di un morbo falsamente dimenticato.
— Ma la vita? Che?
— E noi qua insieme, per sempre.

Gabbia spaziosa e bella

Gabbia spaziosa e bella, vita;
ma s’agita il pensiero fra le sbarre,
gonfio di rabbia anela e resta.

Occasioni

Serata mancata che riassume il fallimento di anni interi, speranze, occasioni che non ritornano.
Non è colpa di nessuno.
Non so se mai riuscirò a godere quanto basta, anni interi, felici occasioni: angosce che triturano.
Ma non è colpa di nessuno.

Già è scesa la sera

Nel pieno giorno ti volgi intorno e con sorpresa
impari al mondo d'essere solo:
potresti levar difesa ma
là è il tramonto già
è scesa la sera.

Provocazioni

Cammino lungo la via e scorgo
in ogni cosa
segrete provocazioni a me rivolte
e me soltanto.

Stimoli ad un'azione.

Ma non so rispondere.

Au contraire, Arthur...

Le sere cupe d’inverno andrò lungo le vie,
pungolato dal gelo, a guardar le vetrine;
mi stordirò fra luci, chiasso, sfarzo vano,
e lascerò che i fiocchi imbianchino il mio capo.

Io non avrò pensieri, non parlerò alla gente;
e attenderò paziente la rassegnazione:
in un androne buio, là mi farò in disparte,
come sasso dal greto ignora la corrente.

...sélon Paul

Niente di te, Natura, mi commuove:
i campi, le foreste, gli animali,
il tremolio di notti siderali,
il cielo terso o nubi quando piove
su valli e su crinali.

Rido dell’arte e rido della gente,
dei templi greci e delle cattedrali
che svettano con guglie e con spirali;
rido del passato e del presente,
orribilmente eguali.

In Dio non credo e abiuro ogni pensiero,
rinnego gli ideali e il sentimento,
ripudio la Ragione, inutile tormento,
e il vero è falso come il falso è vero.

Sola compagna resta l'ironia
con cui disarmo le miserie umane;
ogn'altro sforzo è futile ed inane;
cambiare il mondo, risibile utopia.

Non tengo in alcun pregio la mia vita,
ma a rinunciarvi non ne ho il coraggio:
vivere non so, né farla finita.

Come un vascello che non torna al porto,
ma non arrischia il mare e l'arrembaggio,
non posso dirmi vivo e neanche morto.

Non resta che aspettare la tempesta.
Non resta più nient'altro che il naufragio.

Insufficienza

...
ancora sono qui eppure
tanti libri ho letto
la Mente è pronta
il Cuore da un blocco di ghiaccio è sprigionato

il Cielo è
al di sopra dei tetti
sotto il volo di Gabbiani
il lamento dei disperati
forse Dio è
al di sopra del Cielo o forse
dove sei Dio

eppure ancora sono qui
...

Tuffo nell’abisso

Vacillo ad ogni passo sul sentiero
di strapiombi verticali.
E’ questo il destino dei mortali:
un tuffo nell’abisso un volo
senza ali.

Fiammella

...
io sono
(solitudine)
fiammella di candela
che la brezza della sera
terrorizza, gela
...

Ancora piove (e c'è chi ride)

Sotto un cielo greve di nuvolaglia, un fiore o un bel volto non splende poi tanto. Qualcuno ride, ma è tutto il giorno che piove: d'oltrecortina cadono qui strali. Da quando l'angelo spezzò le ali.

Occhi non sperano il lontano azzurro, ma bruciano lussuria e un po’ d’amore. Ancora piove e c’è chi ride: assuefazione d'umana specie al destino che le fu dato. Da quale polvere Adamo fu creato? Perché l’angelo s’accascia al suolo.

Sodoma pianse con Gomorra e ancora c'è chi ride? Qualcuno ride e ancora piove; l'angelo s'accascia al suolo e c'è chi ride.


Lasciare il fardello, il molle invito della Terra accogliere? D'oltrecortina cadono comunque strali.

Né gioia né dolore vincono di mille secoli il silenzio.

Perché la vita nulla ti regala

Ammiro la divina Provvidenza
per cui la vita nulla ti regala
e più che gioia infligge sofferenza.

A Lui perdono: maggior felicità
maggiore l’amarezza all’abbandono.

Pesantezza

Come lo scarabeo volvere cerco
quel malloppo enorme di sterco
ch’è’l fardello dell’esistenza.
La via si snoda tòrta e tormentata,
ma io pretendo andare dove credo:
sospingo tiro trattengo cedo
correggo senza posa a dritta e a manca …
E quella cosa va dov’essa crede, dove
la legge fisica la induce beffando
crudelmente ogni mio sforzo.

E pur talvolta luce come stella
fugace istante quando mi par vero
che quella palla pieghi alla mia guida!

Ma io m’illudo: meglio che che si rida
di tali fortunate circostanze
per cui il destino karmico coincida
con legge di natura e col capriccio
d’un libero individuo.

Trasparenza

Io e dico io per fede nel
magico artifizio unità-psichica
m'affaccio alla finestra e vedo il mondo
e quel che vedo più non è ma è quel che penso
e così penso e sento dentro
e sembro me a me stesso terso vetro
che s'apre a tradimento sul mio centro

ad altri io finestra per chi guarda.

Geo logica

Gonfia la testa di pensieri vani
il corpo eroso d’iterati affanni
il cuore secco come s’abbia arso al sole:
quello son io,
pinnacolo scolpito
nel deserto dagli agenti naturali:
il tronco asciutto, friabile d’antichi
strati polverosi rosicchiati
e roccia dura in cima a far cappello.

Ad evitare il crollo minacciato
ritengo il fiato in labile equilibrio.

E temo soffio zefiro starnuto
bava di vento volo di farfalla
battito d’ali flebile sospiro
debole sussurro
che pur solo mi sfiori.

Tent'azioni

Mi scopro ogn’ora diverso
e ogn’ora più uguale al passato.
Di tanto apparente vagare
ben poco è restato:
alcune letture, sentori
di vizi e di droghe, di labili
gioie sparite in volute di fumo,
angosce e paure a stento sopite,
nell’animo eterno scontento.

Spesso, la noia di vivere ho incontrato:
era un giorno di festa inconcludente,
era una sera attesa andata in fumo,
era la smania di combinare il mondo
ad ogni costo. E non riusciva niente.

Vano, mi dico, fuggire
altrove tentare un'altra vita di rifarmi:
potessi seminarmi, allora forse.

Inutili rincorse, falsi all'armi:
s'inchiodi il mio volere al suo dovere:
la pianti di tentarmi finalmente.

Perfezione

Rapito dalla
derivabile bellezza
dell’iperbole che tange
asintoticamente
il fine del suo infinito corso
m’illudo
che solo avessi tempo anch’io potrei
sicuramente attingere la
perfezione.

Riflettere, ma non troppo

Non rimandarmi, specchio, l’immagine
del volto imbelle di là riflesso:
salta l’ostacolo e mira soltanto
a ciò che sta dietro, come d’incanto.

Non ricordarmi specchio
il fluire della mia vita sgrammaticato:
fiume fangoso e devastato che volge
in anse senza capire.

Se davvero non devo capire vorrei
non capire fino in fondo: meglio
una vita di sensazioni
che non si chiede troppe ragioni:
meglio una bestia, un essere immondo
che non sa piangere né gioire,
non sa di vivere né di morire.

Meglio l'oscuro istinto vitale
che scuote le membra dell’animale
che salta l’ostacolo e mira
soltanto a ciò che sta dietro
come d’incanto.

Pensare di corpo

a – S’intende l’azione che punta dritto
al valore ludico delle cose:
l’impulso veloce che senza indugio scatta
ed elude l’intreccio mentale?

b – Ascoltami, è quando la voluttà prorompe
pura e sospinge la vita che va di slancio;
è attraversare l’orrore del tempo armati
di sensazioni; è spasimo di membra,
pensare di corpo, movimento,
piacere stolto dell'assetato, fame …

a – Spiacente, non sai vedere oltre
l’inganno di forme vane, diafane
trame ordite di sogno.

b – … è l’uomo che va nella notte fulgida e immane.

Cattivo... di me stesso

E poi essere semplice e quasi
idiota, comun demente,
siccome il buon Tartufo d'ogni tempo;
acqua che corre, nembo, sasso
lisciato da onda e onda non sente.

A che serve il corpo, questa mente che è?
Non so. Io, per me, carisma avrei
voluto, voluttà, falotico mistero.
Ed eccomi qui, ora, vino sincero e fiasco
cattivo di un idiota intelligente.

Senso di colpa

Come polpa di frutto larva mi divora
senso di colpa tutto
d’ora in ora cancro che s’avanza:

vivo nel terrore che Morte
sopraggiunga ogn'istante
vacante ancora il senso della vita.

Lavoro già fatto


finirsi dentro
un poco ogni giorno
che passa pezzo
per pezzo atomo
per atomo quando
Morte giungerà il lavoro
troverà già fatto

Caduta

Si stacca dal cielo azzurro dalla gronda
cala doccia diritta lungo il muro
sprofonda nel sozzo oscuro d’una tomba.

Stillano goccia a goccia i secondi

Sull'ampia fronte del condannato
a vita stillano goccia a goccia
i secondi di un’antica tortura
eterna scandisce il tempo e mai si ferma
e fan minuti e ore e giorni e mesi e anni
ad ogni istante un colpo di martello
un funebre rintocco di campana
un rombo che scuote il cielo
e tuona nel cervello.

Esito certo sarebbe la pazzia;
ma il condannato sa – crudele sorte? –
che spesso giunge prima la sua morte.





Banderuole nella notte

Tratte dal vento stridono
banderuole nella notte.
Folto di pioggia e impuro il cielo incombe.

Umano lamento vano

Si spegne alto un ultimo
grido che orecchi dicono
umano lamento vano.


Possa il rombo del mare
primevo celare
ogni lamento.


Stracciata pace

Dalla finestra
a lungo sbandierata
stracciata pace.

Eliotropi

Nel giorno senza Sole
attonito guatare il cielo
d’eliotropi.



Nubi di sale

Sui tetti, fra le case, per le strade,
fra le dune, sulle onde corre libera
la brezza della sera: sciolga
la mente mia d'ogni pensiero impuro
come nel cielo nubi che acque furono
un tempo dure di sale.

Liquore nella coppa

Torna ad ardere il sole nel cielo acceso:
salute all’estate, salute ai lidi
salmastri, salute al vento che membra
nude incontra!

Versa amico mio liquore
nella coppa, ch’io possa dimenticare.

Autunno

Autunno:
cadono le voglie
dell'estate, insoddisfatte.

Bianche e rosa nell'alba

Bianche e rosa nell'alba
stanno le nubi che acque
furono un tempo dure di sale.

Non trovo conforto nella città
che sa di rovine: falde
di fuoco piovono dal cielo.


(D'improvviso è alto
sulle macerie il limpido
stupore dell'immensità).

Canicola augusta

Canicola augusta, smeriggia di brutto:
lo spazio rovente è una lente ch'accende-difforma.
Lo strazio di stecchi. Il letto del rivo fa lutto.
Un'orma nel fango s'assecca. Là un orto
più morto che vivo.
Cuticola adusta, s'invola locusta.
Arvicola onusta nel buco s'incuna.
Formicola il botro di stoppie e di sterpi
d'insetti e lacerti.
C'è un sole che spacca gl'inerti.
Sul sasso un batrace si svacca.

È il verso di rospi e cicale più aspro e riarso
rosario che frigge-fumante nel cielo.

Memorie di pioggia

Stracci di nuvole bianchi ritengono
i fianchi di creste nel cielo
più cupo del rombo
incombono cime di gelo
non alito o battito d’ali.

Grondano rocce stillano fronde
le gocce memorie di pioggia.

Nel mattino di folte brume

Oro, silenzio e labili forme
nel mattino di folte brume;
in alto sui tetti un battere d’ali:
ne cadono piume.

Profilo lunare di creste e canali,
di mari, che lento riappare;
deriva di muri, di vicoli oscuri, di piazze
ancora deserte scoperte al riflusso
del mare notturno.
Procedo fra i gatti e il marame
che affiora nel giorno:
relitti e cascame.

Esplode l’aurora in bagliori di gelida fiamma
al sole che sorge sul castrum romano,
giunto dal cardo
all’incrocio mi fermo, volgo lo sguardo
al punto di fuga del decumano,
al disco di fuoco enorme nel quadro
di tetti e di case,
d'oro e silenzio, di luci
radenti che spazzano e vento
misto a vapori.

Vento che soffia da oriente,
carte che volano in volto,
lacrime agli occhi di un gelo
che scende dal cielo?

Buf'era

Buf’era: l’hai raccolto che spioveva all’alba
nella mattina fresca lama lucida.

Guf’era: i tetti ha sorvolato abbacinati
i campi i boschi i monti: tuoni e lampi.

Tuf’era, ch’asportato la fiumana
a valle piante e bestie ha macinato.

Fu fera ad ululare nella notte?

C'è, tace, o

C’è, tace o forse dorme, sulla spiaggia
riversa una carcassa vecchia grassa
balena all’orizzonte chiaro un lampo.

Oscura e sterminata

Monti d’inverno: d’orsi
dormienti, mantelli irsuti, scudi
rocciosi di sauri estinti.
— Altare al gelo svetta solit’aria e pura altura.

Ascendo fra i picchi, al cielo richiedo:
roca risponde la voce che l’eco
da rocce nasch’onde.
— M’onde, fr’onde, gioch’onde…

Rovina nel botro la
macchia di rovi ritorti e di bacche
che l'abile gracchia s'imbecca.
— Vecchia cornacchia ridacchia e si stacca.

Ah, gett’arsi dalla turpe rupe da cui
spelonca abisso
per acque pure e cupe!
— Ch'orrenti fredde, vorticose.

Da qui si vede la pianura oscura
e sterminata la specie umana.


Eco di rocce rugose

Asceso fra i picchi, al cielo richiesi:
roca rispose la voce dell’eco
di rocce rugose.

Salito alla vetta

Salito alla vetta, mi fermo.
Quassù non c'è traccia d'inferno.
Il vento mi corre nel volto, riempie i polmoni.
Ascolto il pulsar delle tempie,
il sangue che irrompe nei vasi,
il cuore che pompa, rimbomba.
Mi pare che rompa le arterie.

Ammiro la valle che fugge lontano.
Dall'alto le cose
non sembrano serie.

Terre che mai ho abitato

Provo talvolta sussulti di vita:
aneliti ansiosi a ciò ch’io non sono
né mai sono stato.
Di solito accade s’ascolto di viaggi lontani,
di folli avventure, d’astrusi
e impossibili casi.
Mi fingo calato nei panni d’altrui:
uomo che non sarò non sono né fui.

Rimorso nostalgico nasce straziante
rimpianto di terre che mai ho abitato.

Poi giunge il mio Carlo:
sorride e barcolla.
Mi basta guardarlo.
E tutto è passato.

Acqua che non resta

Dici fiume... e segui un nome:
ma è acqua che non resta
fra sponde che non sono.

Imago

Il babbo è tornato:
è stato due giorni nel camion.
Quell’ispido odore di barba
— che fredde le guance! —
quel ruvido abbraccio quel bacio
che sa di lavoro — sì dolce — salato.

Il babbo è tornato.
— Sei stato a Malladi?
Mi chino a baciarlo il mio Carlo.
Un groppo mi stringe, pur vago,
e tosto m’aggrappo all’imago
di quello che ero.

Annego nel giorno

Rovescia dall'alba
traluce ora un raggio fra nubi
annego nel giorno.

Albagìa

Albeggia enorme sulla terra infame
sulle acque il fantasma dell’alba aleggia
informe — come a Lui piacque.

Alberibelli

Rami di luce
distendono albe-ri-
belli
sul mare.

Tempera

Nuvole nel mattino:
morbide velature
su tela azzurra.

Stelle foglie morte

Soffia nella notte forte il vento:
il turbine si leva al firmamento,
vorticano stelle foglie morte.

Uranica

Formidabile vastità della notte:
progenie quasi-uranica si naviga
nel lucciolare d’astri.

Rosso biplano

Quel rosso biplano che scorgi lontano
e veleggia fra scogli
di nuvole bianche simplegadi stanche
non sembra un miraggio — che dici —
nel cielo più azzurro che segue la pioggia?

E noi quaggiù in bici
fra i campi di grano
e i filari felici.


Disinganno d'amore et ripiego beffardo

O donna mia, benché'l parlar sia indarno,
presta l'orecchio al suon ch'amor m'infuse,
e voi, dolci compagne, al pianto inuse;
se'l canto mio non vi parrà sì scarno.

Io gemo al sogno che m'illuse antico
e piango e agghiaccio et ardo come infermo;
tutto mi versa ostile, e resto fermo
a contemplare'l volto tuo nimico.

Giacché non v'è pietà che'l cor ti stringa
e ad ora ad or la mia sventura arridi,
questo mi resta di cotanta speme:

se'l foco di ch'io ardo non si stinga,
se voi, comari, Amor turbi et insidii,
s'io trovi in voi lo sfogo a che m'oppreme!

Navigare

Altro di te non vedo che'l torbido
agitarsi in superficie d'un'acqua
livida e infelice;
e rischio ad ogni ondata il mio naufragio.
Sapessi cosa accade là'n profondo!
Quali correnti smuovono la melma
e traggono creature dall'abisso!

La bussola terrei come sicura almeno
potrei solcare il mare a vela ferma.

Pacificare

Amazzone ti mostri al mondo e pur
sotto la scorza fragile gridi
a chi t'ama il tuo bisogno d'amore.

Ti fa difetto la calma silente
dell'anziano guerriero che sulla riva del fiume
attende a braccia conserte la corrente
che rechi il corpo dell'avversario inerte.

E poi, combattere chi s'arrende? Chi t'ama
e si protende, più fragile di te.

Dedicare

Gh’Irlanda intreccerò per te di fiori
fluidi e sonori, canto di druidi
che t’avvolga, elica vibrante
al cielo antico e terso
come corde d’arpa.

A te i sentori di questa verde landa,
le ruvide scogliere,
le morbide brughiere, il vento
selvaggio che impazza sulle alture e infuria
fin nelle rosse tue chiome.

A te il mio amore che non si perde
lungo i sentieri delle fate.

(Dove le voci delle foche si levano
roche, fra rocce e mare,
lascerai Seltrie adorata la tua pelle?)

Male oscuro

Per lungo stento
inacidito sottrassi il nostro amore
al canto — tu sai perché:
t’era greve il male oscuro d’un’infanzia
defraudata, umiliata, soffocata,
così severamente calpestata,
troppo breve — forse non vissuta.

So degli slanci infranti contro un muro,
dei troppi torti patiti, dell’adulta
indifferenza; so tutto questo e tutto
l’altro taccio per ferita aperta.

Basta a spiegare quella scorza tigliosa
di rancore ad impedirmi il frutto, gli abbracci
riluttanti e il sapore di quei baci in cui
al miele si mesceva amaro fiele;
quel lungo inseguimento d’una vita
(una volta — ricordi? — fuor di figura,
per le vie della città nel sonno).

Tu non vedevi me: quell’altro
vedevi,
a lui restituivi la mercede (lo specchio
pur riflette ciò che vede): quel giorno l’ho capito,
perché non prima? Avremmo risparmiato.

Quanto sembrava ingiusta tanta asprezza!
Ora so per chi era quella frusta:
non ero quello io che tu vedevi,
non eri quella — vera — tu.

Storie segrete

Il prete fende la folla che si accalca
sul sagrato, e serba in sé storie segrete:
la lavandaia slava si difende
e chiama monsignore a sua discolpa.
Dice, l'accusa è ingiusta;
ma schiocca una frusta, s'agita un forcone.
(Un cane attraversa il prato nell'erba che risplende
e corre grato all'osso del padrone;
il fiume scorre, dopo il greto, massi e calcari;
sul barco un marinaio issa la vela.)

Ma la gente non sa:
dell'usuraio gretto;
della figlia, preda, di cui il padre abusa;
del ladro furbo che ruba al baro;
di quella che si vende;
di quello che offende Dio;
del folle che ero io.
Del tizio che v'ossessiona.
Del vizio che t'assassina.

Puro occaso

Mi volgo per pur’occaso colgo
tra monti e mare gl’ultimi raggi

negl’occhi tuoi mi sciolgo.

Amore e morte

Ieri t’ho svegliata nel cuore
della notte, per donarti amore:
hai brontolato minacce di morte.

Ora perché m’implori se’l sonno
ti promette eterno la bocca
di fuoco con cui ti tengo ferma?
— Caro, non farlo!
— Non ti capisco, cara!
Io sparo.

Farsi avanti col lavoro

— Bisogna farsi avanti col lavoro! —
sento qualcuno dire alle mie spalle.
Figuro un impiegato e mi conforto.
Ma era il beccamorto.

Ed è già Capodanno

Ognuno sta solo
fra tutti che vanno stravolti
d’angoscia e d’affanno

ed è già capodanno.

Volano gli anni e il Tempo va in malora

Volano gli anni e il Tempo va in malora:
venga la sera, suoni pure l'ora...

L’Anno Vecchio se ne va
e mai più ritornerà.
Presto, andiamo in tutta fretta,
ce n'è un altro che ci aspetta...

Venga la sera, suoni pure l'ora:
dopo ogni notte si fa giorno ancora!

L’Anno Nuovo, al gran galoppo,
mette in fuga quello andato.
Quanto tempo è già passato!
Ma a nessuno pare troppo...

Venga la sera, suoni pure l'ora:
dopo ogni notte si fa giorno ancora!

L’Anno Vecchio ha già scontato
— ahimé! — il breve suo mandato.
Per la Ruota che rimesta
non c’è quiete, non c’è resta...

Venga la sera, suoni pure l'ora:
dopo ogni notte si fa giorno ancora!

L’Anno Vecchio se ne va
e mai più ritornerà.
Ma restate in alegranza!
Ce n’è un altro che s'avanza...

Dopo ogni giorno si fa notte ancora,
volano gli anni e il Tempo va in malora...

Effimera

D’estate vi sono notti
tremule e colme di luna
in cui potresti udire le corse
fievoli e felpate
dei topolini bianchi al centro della Terra:
inseguono mai stanchi l’esca davanti
(meta e miraggio)
muovendo gli ingranaggi del pianeta.

Vi sono d’estate notti
furtive e brevi, prive di luna,
in cui ti sembra udire il riso delle fate
dalle foreste d’alberi cavi sulle montagne di cartapesta
e nell’aria frizzante che ti bagna avverti
aromi di pozioni stregate.

E hai visto amico il grattacielo ardito
toccare nuvole di ovatta, squarciare
il velo dell’azzurro antico
di crine imbottito e stoppa che ora fiocca
nel vento della sera?
Aere guizzante, debole sussurro
soffiato dentro il cosmo in espansione
da un gigante — solo e annoiato —
che gioca a fare bolle di sapone.

Fotogrammi

Dietro le fronde mosse dal vento c’è una radura erbosa: laggiù, due uomini in casacche multicolori sono avvinti da uno strano abbraccio.
(Le maschere strappate, Arlecchino e Pulcinella combattono per Colombina, seduta in disparte, divertita.)

Non lontano, oltre il filare d’alberi, un’elegante carrozza d’altri tempi è in corsa o ferma sulla via; all'interno, le sagome di due individui danzano sulle tendine tirate ai finestrini.
(Sobbalza la carrozza su una buca ed ecco per un istante che si scopre: Cenerentola e il suo Principe, novelli sposi o amanti, ridono gaiamente dell’ingenuo spettacolo.)

Più avanti è un colle rotondo e verdeggiante e sulla cima un gazebo dimenticato, facile preda ai morsi potenti dell'edera e della ruggine.
(Rimpiange i festini di un tempo e le tenere coppie di amanti?)

C'è infine, sopra tutto, il vento a sospingere nubi contro la falce acuta della luna, il vento a scuotere i boschi che ondeggiano sul crinale, il vento che scioglie nell'aria lacrime, versi e sospiri.
(Da qualche parte Satiri danzano al suono di musiche inaudite e un buffo Cupido diverte Ninfe con il racconto di trame ordite e futuri intrighi.)

Stupefatto da tanta dolcezza, ti attendo.



Di questi prodi io canterò le gesta

Di questi prodi io canterò le gesta.
Primo fra tutti il Re, sovrano amato,
lento di gambe, debole e inquartato,
vuole soldati con la lancia in resta.

Sposa e Signora di quel Re impacciato
è la Regina, o Donna, astuta e lesta;
mobile piuma in campo, mai non resta
e svolge con freddezza il suo mandato.

Quindi il Cavallo col suo salto strano
è la minaccia sghemba da temere.
Poi col fendente obliquo c’è l’Alfiere,

mentre la Torre, centro cartesiano,
non ama spazi chiusi e tratto vile.
Pedone, resti tu, prezioso e umile.



Menestrello

— Menestrello, perché annoiarmi? Sai piuttosto spaventarmi?
— Sì, Madonna, ecco:

È ora, al tramonto:
nell'ora del giorno che muore
più corto dell'anno
si ode una tomba che lenta
si schiude per braccia
scheletriche e nude:
si muove il granito,
il vuoto rimbomba,
un teschio sull'orlo
smarrito s'affaccia.

Si levano i morti
nei giorni più corti dell'anno;
dirai: " Dove andranno? "
Impavidi e forti
(non sembra quasi che siano morti)
vagano lieti per campi e per orti
in preda ai ricordi:
" Qui sono nato,
qui ti ho amato,
e qui sono morto... andato! "

— Uh, che spavento, menestrello... Descrivi qualcosa di bello!
— Sì, Madonna, ecco:

Quel ramo del lago di Como
pare assai vago, velato dal fumo
che sbuffa un camino lontano.
E pure se l’amo
quel ramo del lago lariano...


— La natura, neanche quello... Sai far altro, menestrello?
— Sì, Madonna, ecco:

Puro, limpido cielo
di perduta stagione,
allegro nunzio di prossima
rinascita
gaio nel frescore delle brezze
che un lieve tremito
ai dorati rami infondono:
a te si slancia l'oppresso
mio spirito,
in te egli trova conforto
dei suoi affanni,
da te, mai sazio, attinge
puro fuoco e puro etere!
Qual duro destino per me
volle il fato?...

— Lasciate, lasciate menestrello... Oh, ecco il signore del castello!

Martello e menestrello

Carlo Martello — Chi odo — disse a un tratto
— parlare al mio cospetto? Ciarlate
come un tarlo nella testa.
Vi getterò dai merli del castello!
Mancate di rispetto, menestrello.
Aspetto vostre scuse: piegate
le ginocchia, o la capocchia
pagherà la vostra spocchia!

S'alm'odianti

Tremitivite tremoribonzi
tremantidireligioso ardore
tremendicantino il Signore.

Se odi lische danzanti

Salm'odia al religioso
ronzio nella moschea
di ali, se odi lische
danzanti col piatto mentre
i sette ve li portano

(cantando il minatore
al ventre della terra
discende per spirali
il cupo minareto)

Alchemico

Qual rame nel lago di cromo
mi pare quel ragno,
ivi si bagna et abbronza
sov’rana, e gracida e sobbolle
nello stagno di brame infuso
reame d’alchimista.

Botta e risposta

Arvelli d'estri a lacerbanti mistri!
Io di gran lunga preferisco i sistri.

Aggio tavuro arrolto di candombe!
Folto di pioggia e impuro il cielo incombe.

Silvie Vartàn, Silvie Vartàn lo seppe!
Mi pare lo dicesse pure Beppe.

Vivìre Marckxx, a belgi pente posso!
E' Merckx che intendi, o è il pianeta rosso?


Nicrasse truglia, frillerei stovelle!
A volte se ne senton delle belle!

Dada

...
non la perfezione degli antichi
quel che con intimo sforzo ho io trovato
l'estinzione
è il sentimento del mondo e del tempo
un limpido fiume corrente adatto al bagno
ma la prospettiva è modo di vedere dell'intelletto
ma la storia è azione, dramma
per riscattare dalla natura un'esistenza spirituale
rallentando il ritmo della sua vibrazione
nel mondo naturale
della materia il ciclico trapasso
nel sentimento diffuso del proprio essere
pienamente essere
— esistono l'uno accanto all'altro infiniti mondi tutti eterni
ciò basta all'ascesi
nella più fitta tenebra sconvolta —
e un'atmosfera satura
ma la realtà è immensa
e dietro v'e uno strano paesaggio
all'atmosferico saturo di vapori
— non la logica della filosofia
dottrina che risale la corrente —
e l'arte è la ricerca del valore
sotto la pelle diafana
del farsi e del disfarsi
— io, soggetto alla nascita
l'esperienza della realtà dev'essere diretta —
progredisce dal fondo la luce
costringe la luce a condensarsi nella massa
— vidi un ben situato pezzo di terra
essa resta invisibile ai bramosi —
non l'autorità del domma e
per il fonte battesimale
infinitamente profondo
e non v'è mai ritorno
ad un nobile figlio che va in cerca d'ascesi
un sereno fondo boschivo
ch'è interna ed è profonda ed è nascosta
non pregiudicata da certezze
e infine dilaga sul viso e sulle mani
della luce nello spazio
il famoso sorriso della donna
— trovato ho io ora questa verità
per sempre son redento —
ma è in prospettiva una forma finita
di equilibrare la pressione dello spazio
del proprio essere
fatto di rocce corrose
creazione e distruzione si alternano periodicamente
— io che soggetto alla nascita osservavo
per sezioni parallele in profondità
cercavo l'incomparabile sicurezza —
è la concezione del ciclico ritorno delle umane vicende
del solido allo stato liquido
intensificazione del movimento nelle persone
di vapori
la miseria di questa legge di natura
il pulsare caldo e segreto del sangue
— trovai l'incomparabile sicurezza l'estinzione
e linee convergenti nel punto di fuga —
il contrasto violento dell'ombra
— l'ultima vita è questa
pensiero ciclico della storia —
e sfaldate tra corsi d'acqua
non è infinito
in una condizione di pefetto equilibrio col mondo naturale
in cui si filtra la luce
— ciò basta all'ascesi ad un nobile figlio —
— tutto è immanenza
e per quanto ci sembri di enorme lunghezza
e tutt'intorno prati e campi
è l'immagine della natura naturans
delle scritture
di infiniti mondi tutti eterni
facendo sentire sotto la pelle diafana
l'estensione della realtà infinita —
e la massa è forma plastica che ha la forza
bensì dimensione della storia
...

Voci del tubo (catodico)

Dall’etra gassoso — stazioni emittenti
diffondono farse — tivù per dementi
bifolchi prognati — di servo stupor:
le voci del catodo — arrivan suadenti
dissolvono dubbi — allevian le menti
promettono fama — ricchezza ed amor!

Psichiatri bavosi — scrittori indecenti
contorni di false — faccine ridenti
beoti beati — di gloria e clamor
inviati speciali — giullari serventi
di poco onorevoli — ricchi e potenti
baldracche rifatte — di falso turgor;

ministri di culto — esperti d’occulto
politici e ladri — in cerca d’indulto
fan gara a portare — il livello più giù;
la legge del catodo — esige l’insulto
la zuffa lo schiaffo — la mischia il tumulto:
con questi ingredienti — l’ascolto va su!

Il volgo è sereno — nel gran bel paese
lo Stato profonde — e non bada a spese
stan tutti nel giuoco — finché può durar;
ma v’è chi s’indigna — e quindi s’appresta
a chiudere il giuoco — a spegner la festa
e furbi e ladroni — a sì castigar!

Un volgo disperso — repente si desta
intende l’orecchio — solleva la testa
dai catodi invasi — da insulsi talk show
percosso da novo — e crescente romor!

È chiaro il sistema — tangenti e mazzette
gli appalti una torta — divisa per fette
« Lo scandalo è ora — che debba finir! »
è il grido di guerra — di ogni procura
qui non si indietreggia — qui non si ha paura
chiunque ha sbagliato — si deve punir!

Dai guardi dubbiosi — dai pavidi volti
qual raggio di sole — da nuvoli folti
traluce de’ padri — la fiera virtù:
ne’ guardi ne’ volti — confuso ed incerto
si mesce e discorda — lo spregio sofferto
col misero orgoglio — d’un tempo che fu.

S’aduna voglioso — si sperde tremante
per torti sentieri — con passo vagante
fra tema e desire — s’avanza e ristà;
e adocchia e rimira — scorata e confusa
de’ crudi signori — la turba diffusa
che fugge le toghe — che sosta non ha.

Ansanti li vede — quai trepide fere
lucenti per tema — le calve criniere
le patrie galere — d’Italia stipar;
e quivi deposta — l’usata minaccia
la stolta superbia — la pubblica faccia
i complici ansiosi — ansiosi guatar.

Un volgo disperso — repente si desta
intende l’orecchio — solleva la testa
dai catodi invasi — da insulsi talk show
percosso da novo — e crescente romor!

E sopra i gementi — con avido brando
quai cani disciolti — correndo frugando
da ritta da manca — guerrieri venir:
li vede e rapito — d’ignoto contento
con l’agile speme — precorre l’evento
e sogna la fine — del duro servir.

Udite! Quei forti — che tengono il campo
che ai vostri tiranni — precludon lo scampo
son veri italioti — del piano padan:
sospeser le gioie — d’uffici lucrosi
assursero in fretta — dai campi operosi
chiamati repente — da squillo guerrier.

A torme di terra — passarono in terra
cantando giulive — canzoni di guerra
ma i ricchi opifici — pensando nel cor:
han carca la fronte — di torvi pensieri
han teso coccarde — sui loro destrieri
fur tutti a Pontida — che cupa tuonò.

E già ’l volgo sogna — ‘l suo novo futuro
è forte quel duce — che dice l’ha duro
il suo brando levato — che tregua non dà;
promette a quel volgo — riscatto sicuro
i rei dello scempio — saran messi al muro
chi ha troppo dato — il maltolto riavrà.

Un volgo disperso — repente si desta
intende l’orecchio — solleva la testa
dai catodi invasi — da insulsi talk show
percosso da novo — e crescente romor!


Novanta più quattro — è l’anno mondiale:
un grido percorre — l’intero stivale
a unire ogni cuore — ne’ patri color:
e già “Forza Italia!” — è l’inno stranito
che il furbo politico — ha messo a partito
chiamando a dar voto — ai moti del cuor.

« Dell’Utri mafioso! » — Santoro fazioso
con Biagi e Luttazzi — è messo a riposo
l’Editto di Sofia — fa purga in tivù:
un solo padrone — controlla i mass media
danaro e potere — concentrano invidia
sull’uomo che aspira — a salire più su.

Poi uguale sinistra — avvicenda la destra
la danza non cambia — la stessa minestra
gli antichi costumi — son duri a morir:
riapron le porte — ai vecchi dannati
son santi son martiri — perseguitati
che iniqua giustizia — volle colpir!

« Le toghe brandiscono — falci e martelli! »
si sguainano spade — s’incoccan quadrelli
schierate le parti — son pronte a pugnar:
si vedon le lance — calate sui petti
a canto agli scudi — rasente agli elmetti
si senton le frecce — fischiando volar.

« In Mediaset virtus » — « Fininvest insana »
lo scontro si alza — la gente si sbrana
prevalgon l’ingiuria — il colpo sleal:
ma è tutta una scena — pel popol balordo
di sotto’l baccano — v’è’l tacito accordo
di fare attenzione — a non farsi del mal.

E il premio sperato — promesso dai forti
sarebbe o delusi — rivolger le sorti
d’un volgo disperso — por fine al dolor?
Tornate alla vostra — tivù spazzatura
alle opere soap — alla falsa cultura
bifolchi prognati — di servo stupor!

Il forte si mesce — col vinto nemico
col novo signore — rimane l’antico
l’un popolo e l’altro — sul collo vi sta
dividono i servi — dividon gli armenti
si posano insieme — sui campi cruenti
d’un volgo disperso — che nome non ha.

Il volgo disperso — ritorna alla siesta
distoglie l’orecchio — reclina la testa
ai catodi invasi — da insulsi talk show
colpito da novo — e crescente torpor!


Dall’etra gassoso — stazioni emittenti
diffondono farse — tivù per dementi
bifolchi prognati — di servo stupor:
le voci del catodo — arrivan suadenti
dissolvono dubbi — allevian le menti
promettono fama — ricchezza ed amor!

Ministri di culto — esperti d’occulto
politici e ladri — in cerca d’indulto
fan gara a portare — il livello più giù;
la legge del catodo — esige l’insulto
la zuffa lo schiaffo — la mischia il tumulto:
con questi ingredienti — l’ascolto va su!

Psichiatri bavosi — scrittori indecenti
contorni di false — faccine ridenti
beoti beati — di gloria e clamor
inviati speciali — giullari serventi
di poco onorevoli — ricchi e potenti
baldracche rifatte — di falso turgor;

è tutto perduto — perfino il pudor.

Dilatazione dell'infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle
murate che ritengono in disparte
vite lontane d'ogni viver molle,

e questa siepe, che da tanta parte
del ciglio d’un burrone già prelude
alle gole inviolabili d'Agharte!

Dell'ultimo orizzonte il guardo elude
e dagli orridi deserti devastati,
e dai fetidi miasmi di palude.

Ma sedendo e mirando, interminati
squarci di cielo dai bagliori strani,
vampa solare, nubi e costellati

spazi di là da quella, e sovrumani
calori d’abbacinanti comete,
clamori assordanti ora, poi arcani

silenzi, e profondissima quiete
— che nel divino sentimento invoco
sì arso dagli spasmi della sete —

io nel pensier mi fingo, ove per poco
tempo resto a rimirar sgomento;
ma l’animo resiste e seppur fioco

il cor non si spaura. E come il vento
sibila fra le punte del cancello
che sbarra il camposanto e a stento

odo stormir tra queste piante, io quello
sconcertante, burrascoso, feroce,
trepidante, spaventoso, e bello

infinito silenzio a questa voce
levata dal profondo dell’Averno
— flebile sussurro, eppur atroce —

vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
qual Ente perfetto e indifferente
distante sia dal ciel che dall’inferno

e le morte stagioni, e la presente
età che più di tutte pare impesta
e futile, frustra e furba e furente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa
e quelle vago, sbalordito, io,
senza risoluzione, e in tal funesta

immensità s'annega il pensier mio:
la gente è là sul molo a salutare,
io sono qua sul ponte a dire addio,

e il naufragar m'è dolce in questo mare.

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il Bagatto

Il Bagatto, o Mago, è Hermes, il dio dai piedi alati, continuamente in viaggio, vuoi come messaggero salvatore, vuoi come guida dei sogni e delle anime.
Egli è il dio dell'umido sentiero, del primordiale mondo del percorso.
Il viaggiare di Hermes è la dimensione della ricerca del percorso iniziatico, ma anche dello smascheramento e dell'autenticità: tra compagni di viaggio si fanno esperienze della più schietta franchezza, quasi fino alla nudità, come se il viaggiatore lasciasse dietro di sé ogni vestito e ogni maschera.

la Papessa

La Papessa è la guardiana della notte e del mondo occulto, domina le sfere delle tenebre, inaccessibili alla comprensione comune; con la sua essenza femminile, è la rappresentazione simbolica della conoscenza intuitiva, ricettiva, alternativa, che si espande fuori dai canali istituzionali e che, nella sfida perenne ai lacci e ai vincoli dell'ortodossia, percorre strade vietate, ambigue, pericolose...
Essa è la vergine che regna nelle regioni dell'inconscio, coperta da un velo ma piena di fruttuosa potenza, se il velo è squarciato.

l'Imperatrice

Dietro il viso radioso dell'Imperatrice terrena si nasconde qualcosa di divino: la Grande Madre dei Misteri.
L'idea del conseguimento e della compiutezza ci trasporta direttamente nel cuore del messaggio di Demetra (De-Mater), che suggerendo ai suoi adepti le nozze mistiche suggeriva all'essere il suo telos, il suo adempimento.

l'Imperatore

L'Imperatore garantisce l'unità nella diversità: seduto sul suo trono cubico egli è il sovrano costruttore che trasforma la duttile e caotica materia informe; egli organizza e inquadra ogni creatura in un ordine universale, matematico, immutabile.
La sua figura evoca l'antico concetto della regalità sacra: il sovrano è considerato simbolicamente come un mediatore tra il potere divino e la vita sulla terra.
Secondo le antiche credenze da lui dipendeva l'abbondanza dei raccolti, il suo tocco era considerato risanatore, il suo potere si estendeva sulla vita e sulla morte.

il Papa

Simbolo della più alta autorità spirituale, il Papa è la saggezza superiore.
La sua sapienza pacata e mai turbata da passioni umane è chiamata a giudicare tendenze opposte, a conciliare antagonismi apparentemente inconciliabili, a tracciare un ponte tra passato e presente, tradizione e progresso, ragione e sentimento, cielo e terra.
Il Papa è il Grande Sacerdote, il maestro dei misteri, il grande indovino: egli rappresenta l’essenza delle dottrine occulte di cui è garante e custode.

l'Innamorato

L’Innamorato, chiuso fra la minaccia di Eros con il suo arco, in alto, e ai lati fra due fanciulle in veste l’una di regina e di l’altra di cortigiana, è la rappresentazione emblematica dell’uomo incapace di scegliere fra l’Amor Sacro e l’Amor Profano: egli ci dice che il campo di azione di ogni personalità è delimitato da due poli essenziali, da una parte quello della saggezza, quello della stolta superficialità dall’altra.