nel giardino dei sentieri che si biforcano

gli arcani dei tarocchi sono sono chiavi di lettura, molteplici percorsi che puoi seguire per attraversare un intreccio di diverse opere poetiche


Storie segrete

Il prete fende la folla che si accalca
sul sagrato, e serba in sé storie segrete:
la lavandaia slava si difende
e chiama monsignore a sua discolpa.
Dice, l'accusa è ingiusta;
ma schiocca una frusta, s'agita un forcone.
(Un cane attraversa il prato nell'erba che risplende
e corre grato all'osso del padrone;
il fiume scorre, dopo il greto, massi e calcari;
sul barco un marinaio issa la vela.)

Ma la gente non sa:
dell'usuraio gretto;
della figlia, preda, di cui il padre abusa;
del ladro furbo che ruba al baro;
di quella che si vende;
di quello che offende Dio;
del folle che ero io.
Del tizio che v'ossessiona.
Del vizio che t'assassina.

Puro occaso

Mi volgo per pur’occaso colgo
tra monti e mare gl’ultimi raggi

negl’occhi tuoi mi sciolgo.

Amore e morte

Ieri t’ho svegliata nel cuore
della notte, per donarti amore:
hai brontolato minacce di morte.

Ora perché m’implori se’l sonno
ti promette eterno la bocca
di fuoco con cui ti tengo ferma?
— Caro, non farlo!
— Non ti capisco, cara!
Io sparo.

Farsi avanti col lavoro

— Bisogna farsi avanti col lavoro! —
sento qualcuno dire alle mie spalle.
Figuro un impiegato e mi conforto.
Ma era il beccamorto.

Ed è già Capodanno

Ognuno sta solo
fra tutti che vanno stravolti
d’angoscia e d’affanno

ed è già capodanno.

Volano gli anni e il Tempo va in malora

Volano gli anni e il Tempo va in malora:
venga la sera, suoni pure l'ora...

L’Anno Vecchio se ne va
e mai più ritornerà.
Presto, andiamo in tutta fretta,
ce n'è un altro che ci aspetta...

Venga la sera, suoni pure l'ora:
dopo ogni notte si fa giorno ancora!

L’Anno Nuovo, al gran galoppo,
mette in fuga quello andato.
Quanto tempo è già passato!
Ma a nessuno pare troppo...

Venga la sera, suoni pure l'ora:
dopo ogni notte si fa giorno ancora!

L’Anno Vecchio ha già scontato
— ahimé! — il breve suo mandato.
Per la Ruota che rimesta
non c’è quiete, non c’è resta...

Venga la sera, suoni pure l'ora:
dopo ogni notte si fa giorno ancora!

L’Anno Vecchio se ne va
e mai più ritornerà.
Ma restate in alegranza!
Ce n’è un altro che s'avanza...

Dopo ogni giorno si fa notte ancora,
volano gli anni e il Tempo va in malora...

Effimera

D’estate vi sono notti
tremule e colme di luna
in cui potresti udire le corse
fievoli e felpate
dei topolini bianchi al centro della Terra:
inseguono mai stanchi l’esca davanti
(meta e miraggio)
muovendo gli ingranaggi del pianeta.

Vi sono d’estate notti
furtive e brevi, prive di luna,
in cui ti sembra udire il riso delle fate
dalle foreste d’alberi cavi sulle montagne di cartapesta
e nell’aria frizzante che ti bagna avverti
aromi di pozioni stregate.

E hai visto amico il grattacielo ardito
toccare nuvole di ovatta, squarciare
il velo dell’azzurro antico
di crine imbottito e stoppa che ora fiocca
nel vento della sera?
Aere guizzante, debole sussurro
soffiato dentro il cosmo in espansione
da un gigante — solo e annoiato —
che gioca a fare bolle di sapone.

Fotogrammi

Dietro le fronde mosse dal vento c’è una radura erbosa: laggiù, due uomini in casacche multicolori sono avvinti da uno strano abbraccio.
(Le maschere strappate, Arlecchino e Pulcinella combattono per Colombina, seduta in disparte, divertita.)

Non lontano, oltre il filare d’alberi, un’elegante carrozza d’altri tempi è in corsa o ferma sulla via; all'interno, le sagome di due individui danzano sulle tendine tirate ai finestrini.
(Sobbalza la carrozza su una buca ed ecco per un istante che si scopre: Cenerentola e il suo Principe, novelli sposi o amanti, ridono gaiamente dell’ingenuo spettacolo.)

Più avanti è un colle rotondo e verdeggiante e sulla cima un gazebo dimenticato, facile preda ai morsi potenti dell'edera e della ruggine.
(Rimpiange i festini di un tempo e le tenere coppie di amanti?)

C'è infine, sopra tutto, il vento a sospingere nubi contro la falce acuta della luna, il vento a scuotere i boschi che ondeggiano sul crinale, il vento che scioglie nell'aria lacrime, versi e sospiri.
(Da qualche parte Satiri danzano al suono di musiche inaudite e un buffo Cupido diverte Ninfe con il racconto di trame ordite e futuri intrighi.)

Stupefatto da tanta dolcezza, ti attendo.



Di questi prodi io canterò le gesta

Di questi prodi io canterò le gesta.
Primo fra tutti il Re, sovrano amato,
lento di gambe, debole e inquartato,
vuole soldati con la lancia in resta.

Sposa e Signora di quel Re impacciato
è la Regina, o Donna, astuta e lesta;
mobile piuma in campo, mai non resta
e svolge con freddezza il suo mandato.

Quindi il Cavallo col suo salto strano
è la minaccia sghemba da temere.
Poi col fendente obliquo c’è l’Alfiere,

mentre la Torre, centro cartesiano,
non ama spazi chiusi e tratto vile.
Pedone, resti tu, prezioso e umile.



Menestrello

— Menestrello, perché annoiarmi? Sai piuttosto spaventarmi?
— Sì, Madonna, ecco:

È ora, al tramonto:
nell'ora del giorno che muore
più corto dell'anno
si ode una tomba che lenta
si schiude per braccia
scheletriche e nude:
si muove il granito,
il vuoto rimbomba,
un teschio sull'orlo
smarrito s'affaccia.

Si levano i morti
nei giorni più corti dell'anno;
dirai: " Dove andranno? "
Impavidi e forti
(non sembra quasi che siano morti)
vagano lieti per campi e per orti
in preda ai ricordi:
" Qui sono nato,
qui ti ho amato,
e qui sono morto... andato! "

— Uh, che spavento, menestrello... Descrivi qualcosa di bello!
— Sì, Madonna, ecco:

Quel ramo del lago di Como
pare assai vago, velato dal fumo
che sbuffa un camino lontano.
E pure se l’amo
quel ramo del lago lariano...


— La natura, neanche quello... Sai far altro, menestrello?
— Sì, Madonna, ecco:

Puro, limpido cielo
di perduta stagione,
allegro nunzio di prossima
rinascita
gaio nel frescore delle brezze
che un lieve tremito
ai dorati rami infondono:
a te si slancia l'oppresso
mio spirito,
in te egli trova conforto
dei suoi affanni,
da te, mai sazio, attinge
puro fuoco e puro etere!
Qual duro destino per me
volle il fato?...

— Lasciate, lasciate menestrello... Oh, ecco il signore del castello!

Martello e menestrello

Carlo Martello — Chi odo — disse a un tratto
— parlare al mio cospetto? Ciarlate
come un tarlo nella testa.
Vi getterò dai merli del castello!
Mancate di rispetto, menestrello.
Aspetto vostre scuse: piegate
le ginocchia, o la capocchia
pagherà la vostra spocchia!